venerdì 10 febbraio 2017

Giffone



REGGIO CALABRIA
Viaggio alla scoperta di Giffone
redazione  -  Il 10 febbraio 2017

A Giffuni ’nc’è n’affettu / chi ’ndi nesci di lu cori, / chi ’ndi gugghi ’ntra lu pettu / pe’ ’stu Santu Protettori. […] ’Nc’è cu’ cala, ’ncè cu ’nchiana / cu la sociara e la nora, / ’nc’è cu’ ’mbivi a la funtana / acqua frisca chi ristora.
(Mimì Mercuri)

Un po’ di storia
 Giffone è un piccolo centro, tra l’Aspromonte e le Serre Calabre, al oltre m.600 s.l.m. Gli alberi d’alto fusto con i folti rami che s’intrecciano in cima, il bosco ricco di prelibati funghi porcini ed i bei paesaggi, rendono l’ambiente suggestivo e accogliente.
 La scarsa economia si basa sulle attività agricole-pastorali e specialmente sulla produzione di olio. In passato vi erano numerosi telai in piena attività che garantivano preziose stoffe, corredi e tappeti. Anche i mulini, azionati ad acqua, rendevano meno pesante il lavoro dei contadini.
 Sul posto vi sono acque salubri (come la Fonte Grillo) e diuretiche, fresche e abbondanti sorgenti. I monti, inoltre, contengono un granito di fibra e compattezza adatte alla lavorazione. Venne usato dagli scultori Francesco Jerace da Polistena e Vincenzo Romeo da Radicena (ora Taurianova) per i Monumenti ai Caduti delle loro città.
 Ha scritto il prof. Nicola Catalano (1926 - 2001) su Domani Sud nel 1981:
 «[il paese fu] fondato intorno al 1610 ad opera di don Francesco Giffone, Marchese di Cinquefrondi, col fine di rendere più agevole la vita a coloro che vi attendevano ai lavori agricoli in una zona molto distante dal più vicino centro abitato [...] Verso il 1717 il feudo fu ceduto dai Giffone a don Traiano Pescara, duca di Calvizzano, il quale introdusse un costume utile per la povera gente. Nei suoi mulini faceva macinare del frumento, del granturco e dei lupini e questa farina detta miscitato (mescolato) la distribuiva ai bisognosi in tempi di carestia e di scarso lavoro; i debitori, poi, al tempo della raccolta, restituivano le derrate senza pagare alcun interesse. [...] Giffone fu travolto dal terremoto del 1783 che causò enormi frane come quella detta della rupe del Giardinetto, e numerose vittime. Il Duca di Calvizzano diede allora dieci ducati per ogni famiglia affinché si costruissero delle baracche; ma un tale Sebastiano Alvaro, malcontento della soggezione baronale invitava gli abitanti ad andarsene tutti da quei luoghi inospitali e fondare la novella Patria nella pianura di Cubasina. Ma il Duca fece ricorso al Re contro l’Alvaro ed ottenne un decreto che imponeva la ricostruzione del paese nel luogo stesso ove era prima.
 Dopo l’acquisizione del feudo don Traiano Pescara si disinteressò del luogo e dei suoi abitanti a causa delle insorgenti turbolenze.
 Nel 1809 il feudo di Traiano Pescara venne eretto a Comune ed il primo sindaco fu Ambrogio Mercuri, mastro di montagna.
 Abolita la feudalità, i demani comunali vennero ripartiti tra Galatro e Giffone e sorsero così le discordie tra Galatresi e Giffonesi circa il tracciato dei confini. [...] Nel 1860 alcuni Giffonesi seguirono Garibaldi al suo passaggio da Rosarno e si ebbero così i primi volontari garibaldini. Ma già tra il 1813 ed il 1820 il Sac. Andrea Alvaro aveva fondato in Giffone una vendita carbonara e fu attivo propugnatore della Carboneria anche nei paesi vicini».
 «L’isolamento», sostiene lo scrittore Fortunato Seminara da Maropati (1903 - 1984), «è certo una delle cause generali di miseria delle nostre popolazioni», costrette ad emigrare in cerca di migliore fortuna. E la fuga dei Giffonesi è stata veramente impressionante.
 «Ora in paese sono rimasti pochi uomini e tutte le donne con i vecchi e i bambini: i vecchi stanno seduti immobili sulle soglie degli usci e guardano con occhi appannati le immagini evanescenti d’un mondo che li respinge e i bambini ruzzano nella polvere delle strade». (Da: L’altro pianeta - Ed. Pellegrini - CS, 1967).

Aspetti religiosi
 Accanto ai Giffonesi c’è il loro Santo protettore, S. Bartolomeo, che viene festeggiato il 24 agosto e che dicono sia “un santo buono e sollecito verso gli afflitti”, il solo capace di comprenderli. La devozione a Lui tributata conferma l’assoluta fiducia dei fedeli.

 Il Santuario del Santo Apostolo, inaugurato nel 1985, sorge nella località Contura a 950 m. di altezza. Nelle vicinanze è stata costruita la Fonte San Bartolomeo.

 Altro luogo di culto è la Chiesa di Santa Maria del Soccorso (Matrice), fondata nel 1695 e posta al termine di una lunga scalinata. Possiede artistiche statue.
 La Madonna del Carmelo si festeggia il 16 luglio; la Domenica di Pasqua si svolge l’Affruntata.
Nella Piazza Vittorio Veneto vi è anche la Fontana grande o dei sette canali, costruita intorno all’800 in argilla e mattoni. Da qui ebbe inizio il primo nucleo abitativo.

Personaggi principali
◙ Filippo Antonio Alvaro (1859-1934) - Filosofo, storico e letterato; autore di oltre venti opere. ◙ Don Domenico Bellissimo (nato a S. Nicola da Crissa nel 1924, morto a Giffone nel 1965) - Poeta. ◙ Nicola Catalano (1926-2001) - Nato a Gallico e giffonese di adozione. Poeta e saggista. ◙ Anselmo Lombardi (1906-1972) - Autore di pubblicazioni scientifiche in campo medico e di una raccolta di poesie. ◙ Carmelo Manno (n. 1922) - Poeta. ◙ Mimì Mercuri (n. 1907) - Poeta.

Leggende e curiosità
 Si tramanda che, in seguito al Flagello del 1783, nella località Timpa a sud del paese, ad un uomo sia apparsa la Madonna per annunziargli la cessazione dei danni sismici.

’U magulà
 «A Giffone», scrive Nicola Catalano, «vi è ancora della gente che cura la parotite in un modo che sa di magia. […] Quando un bambino è affetto dal magulà, la madre lo porta da una donna esperta in arti magiche perché venga pricantatu, cioè venga detta una formula che farà, in breve tempo, passare il magulà. L’esperta, fatti i dovuti scongiuri, dà inizio al pricantu (scongiuro) ripetendo questa formula:
“Arricchiuni e magulà / non passari cchiù di ccà. / Nu còcciu dassu / e nu cocciu pigghiu. / mu diventi / quantu nu cocciu di mìgghiu».
 (Parotite non passare più da qui. Un chicco lascio e un altro ne prendo perché tu divenga come un chicco di miglio).
 La donna medico ripete questa formula alcune volte, facendo anche il segno della croce, e poi prende un mattone di terracotta e vi fa sopra tre segni di croce. Fa quindi altrettanti segni sulle guance del piccolo infermo, strofinando il mattone (o una medaglia d’argento) sulla parte dolente e ripetendo il rituale della formula magica. […] Ma il bello riteniamo venga adesso, nel raccontare quello che ci è capitato di assistere mentre eravamo in un ambulatorio medico del luogo.
Arriva una giovane madre in compagnia di una figlia le cui guance erano, in un modo molto evidente, affette da parotite; entra nella stanza delle visite e fa vedere la figlia al medico: «Ndavi lu magulà, dottori».
 Il medico, dopo aver dato uno sguardo alla bambina, prende il ricettario e prescrive la cura, consegna la ricetta alla signora, le dice come deve usare il medicinale e dà dei consigli. La signora prende la ricetta e, con aria ingenua, aggiunge; «Chi diciti, dottori, nci lu fazzu pricantari da’ maistra Pascalina?».
 Il medico guarda in faccia la donna, fa un sorrisetto, e con aria sorniona, risponde: «Sì, facitinci ’sta cura e… poi nci lu faciti puru u pricantari!»
Tutto questo alle soglie del Duemila.

Estratto dal volume di D. Caruso - Viaggio alla scoperta della Calabria - (La Piana di Gioia Tauro) - Pubblicato dal Gruppo Editoriale “L’Espresso” - (Ilmiolibro) - 2017.





venerdì 3 febbraio 2017

Il Divino Maestro



ARTE E CULTURA
“Il Divino Maestro”, nuovo libro di Domenico Caruso redazione - Il 3 febbraio 2017
Pubblicato di recente su Youcanprint, il mio nuovo libro ha lo scopo di considerare il più controverso processo che ha cambiato il corso della storia. Nonna Vincenza Femìa è una figura popolare d’altri tempi, entrata nella leggenda di Laureana di Borrello. Si deve al suo coraggio e al suo sacrificio se la Chiesa Parrocchiale di Maria SS. degli Angeli, danneggiata dai terremoti, si trova ricostruita nel sito originale. La pia donna soleva ripetere nelle orazioni quotidiane:

La Passione del Signore,
il dolore di Maria,
fa’ che sempre siano
nel nostro cuore
.
La giaculatoria rivela il profondo sentimento che gli avi nutrivano verso il sacro con l’epilogo annuale delle rappresentazioni popolari (tragedie) che si svolgevano nei vari centri della nostra Piana durante la Settimana Santa. Dal sacro esercizio della Via Crucis, così diffuso nel Cattolicesimo e risalente al tardo Medioevo, ho preso spunto per delineare l’eccezionale evento del mondo.
La popolarità di Gesù presso il giudaismo fece sì che Anna, servendosi di Pilato e architettando una situazione plateale, conducesse a morte il Divino Maestro. Gesù fu deriso dai soldati dell’Impero per essere giudeo e per essere ritenuto una figura regale, antagonista della legge romana. Il Sinedrio, da quando nella Giudea vi fu un amministratore romano, non poteva condannare a morte. E’ pur vero che la maggior parte dei capi religiosi di Gerusalemme, essendo pieni di rancore e d’invidia, desideravano l’eliminazione del Messia. E, dopo la morte, i discepoli di Cristo subirono le violenze delle autorità ebraiche.
La seconda parte del lavoro è riservata al Padre Nostro:
«Un giorno Gesù andò in un luogo a pregare. Quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare”». (Lc 11, 1). Così, gli Apostoli hanno ricevuto dal Maestro l’orazione che ci hanno tramandato. Il Padre Nostro esprime la “sintesi di tutto il Vangelo” (Tertulliano), “la preghiera perfettissima” (S. Tommaso d’Aquino), la “orazione domenicale”, cioè la “preghiera del Signore”.
I Padri della Chiesa hanno rilevato che al suo interno vi sono sette domande, quanto i doni dello Spirito Santo. Come Gesù chiama Dio Abba, Padre, sia nella gioia che sul patibolo, così il credente mosso dallo Spirito di Cristo può rivolgere lo stesso appellativo, non soltanto imitando il Salvatore ma affermando la sua mediazione.
Dalle mie modeste riflessioni sul Padre Nostro, collocato al cuore del Discorso della Montagna, metto in rilievo un particolare. L’intera preghiera è racchiusa dalla forma chiasmica, fra il segno del Padre e il desiderio di venire liberati dal Maligno. L’intimità con la quale ci rivolgiamo a Dio è fonte di fiducia e di sicurezza; imploriamo il suo aiuto consapevoli che il male non appartiene all’ordine naturale ma a quello effimero. L’espressione non ci indurre in tentazione va tradotta non metterci alla prova.
Dante avrebbe obiettato:
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
ché il velo è ora ben tanto sottile,
certo che il trapassar dentro è leggero
. (Pg. VIII, 19-21)

Emeriti teologi e studiosi si sono arrovellati il cervello senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Eppure nel bene e nel male è in gioco la nostra vita!
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